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Lustra – Moio della Civitella

DIFFICULTY

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Patrimonio culturale

Storia

Perdifumo è situato sulle propaggini nord-occidentali del Monte della Stella, a 425 m. s.l.m., in uno scenario naturalistico dominato da boschi di castagni e in una bella posizione panoramica rispetto al mare. Le origini del centro abitato di Perdifumo sembrano risalire alla fine del secolo XI, quando gli abitanti del villaggio che si era sviluppato nei pressi del monastero benedettino di S. Michele Arcangelo si spostarono più a valle, ove scorre un torrente.

Il casale, come l’attiguo monastero di S. Michele Arcangelo, fece parte dei possedimenti che la badia benedettina di Cava dei Tirreni (Salerno) possedeva nel Cilento. Successivamente, nel XII secolo, entrò a far parte del feudo della potente famiglia Sanseverino che tuttavia ne lasciò il possesso agli abati di Cava.

Il paese venne distrutto durante la guerra del Vespro (1282-1302) ma fu ricostruito e, nel 1412, concesso da papa Gregorio XII al re di Napoli Ladislao di Durazzo. La famiglia Sanseverino nel 1436 lo riebbe dal re Alfonso d’Aragona, re di Napoli. Successivamente ne furono feudatari i duchi Caracciolo e poi i Filomarino.

Nel comune di Perdifumo rientra, oltre alle frazioni di Vatolla e Mercato, anche quella di Camella, la più antica contea dell’area, della quale si ha notizia per la prima volta nel 1031.

Mercato

“Mercato può dirsi l’emporio di tutto il Cilento. A Gio. Murat era venuto in mente di abbattere tutti i paesi e i casali circonvicini, e creare una città sulle alture di Mercato, intorno al grosso convento”. Così lo studioso leccese Cosimo De Giorgi, scrive nel suo libro Da Salerno al Cilento del 1882, vero e proprio reportage del viaggio compiuto per redigere la carta geologica del territorio cilentano.

Il piccolo centro abitato, che prese il nome dal mercato che vi si svolgeva ogni sabato, sorse ai piedi del monastero carmelitano, edificato nel XV secolo accanto alla chiesa di S. Maria dei Martiri, esistente già nel XII secolo, presso un importante incrocio di percorsi viari, che appunto ne determinò la funzione di luogo di mercato settimanale, così descritto da De Giorgi: “Nel corso della settimana è un luogo muto e deserto; ogni sabato invece si popola come per incanto, e lo spettacolo è bello ad osservarsi anche dal punto di vista etnologico negli abbigliamenti delle contadine, nei dialetti diversi, e per quella esposizione di prodotti di industria locale”.

Vatolla 

Vatolla si sviluppa su un crinale collinare, immerso in uno scenario naturalistico molto suggestivo, caratterizzato dalla presenza di folti castagneti, con una ampio panorama che si apre verso il mare.

La prima menzione del villaggio di Vatolla, oggi frazione del comune di Perdifumo, si ha in un documento della badia benedettina di Cava dei Tirreni del 994, dove esso è ricordato come Batollam, mentre il nome Vatolla compare in un altro documento del 1018. L’origine del nome è stata messa in relazione con il termine latino batula, che vuol, dire rovo. La presunta esistenza di un piccolo centro abitato (vicus Vatolanus) di età romana si basa su una falsa iscrizione latina, riportata dal barone Giuseppe Antonini nella sua opera sulla Lucania del 1745. Tracce di occupazione del territorio in età antica sono documentate in località Fontanelle, a sud-ovest del centro abitato, al confine con la località Papaleo, dove, lungo il declivio collinare che degrada verso il vallone La cinque (affluente del Testene) sono state individuate tracce riferibili ad un piccolo insediamento rurale attivo tra il III sec. a.C. e il II sec. d.C.

Vatolla nel secolo XI entrò a far parte del feudo della potente famiglia Sanseverino, che lo tenne fino al 1552. A partire da questa data passò in mano a varî feudatari, tra i quali la famiglia Rocca. Il marchese Domenico Rocca tra il 1686 e il 1695 ospitò, quale precettore per i propri figli, il filosofo G. B. Vico. La presenza a Vatolla del grande filosofo è ricordata da due epigrafi: una posta sulla facciata della chiesa del convento della Pietà ed una su quella del palazzo marchesale. In seguito, nel 1767 Vatolla passò dalla famiglia Rocca ai marchesi Vargas Macciucca.

Come in molti paesi del Cilento, a Vatolla, nel giorno dedicato all’Assunta, il 15 agosto, si tiene la rappresentazione sacra dedicata al combattimento tra l’Angelo e il Diavolo.

Camella

La prima notizia su Camella risale ad 1031, quando già costituiva una contea, la più antica del gastaldato longobardo di Lucania. Il nome potrebbe derivare da kámela (diminutivo di kámara), termine indicante un piccolo edificio coperto a volta. Entrato a far parte della baronia dei Sanseverino, ne segui le sorti, fino a quando essi, nel 1552, persero il feudo. Da quel momento in poi Camella passò nelle mani di diversi feudatari.

Alcuni documenti dell’archivio della badia benedettina di Cava dei Tirreni del XII secolo, documentano un’attività che sembrerebbe essere abbastanza sviluppata, anche nei vicini villaggi di S. Arcangelo e di Perdifumo: quella dei vasai. In essi, cosa non frequente, sono riportati i nomi di parecchi ceramisti (figuli), che evidentemente lavoravano la locale argilla e producevano vasellame da cucina, da mensa e da dispensa, attività documentata anche nel secolo seguente.

Archeologia

La più importante evidenza archeologica del territorio di Perdifumo è costituta dai resti di una struttura di fortificazione, una torre, databile al IV secolo a.C. ubicata a Punta della Carpinina (688 m s.l.m.), una propaggine del Monte della Stella. Si tratta di un punto caratterizzato da un’ampia visibilità e, quindi, postazione strategica per il controllo del territorio e dei percorsi viari.  In questo punto, da cui si gode di una vista assai favorevole verso la piana di Paestum e di un tratto della costa, sono stati rinvenuti due tratti murari, realizzati in blocchi squadrati di arenaria, dei quali rimane un solo un filare. La struttura, infatti, è stata smontata e rasata fino alle fondazioni dagli sbancamenti effettuati nel 1970 per l’apertura di una strada e per l’impianto del ripetitore RAI. Le ricerche hanno consentito di stabilire che si tratta dei resti di una torre a pianta quadrata di 7,82 m per lato, uno dei quali si apre la porta di accesso. Per la sua collocazione topografica, che consente il controllo della costa a ridosso di Punta Licosa e, quindi, gli approdi e gli accessi al territorio, è stata messa in relazione con un sistema di fortificazioni poste a protezione del territorio di Velia. Secondo un’altra ipotesi, invece, la torre, la cui costruzione non sarebbe mai stata completata, rientrerebbe in un sistema messo a punto dai Lucani di Paestum per il controllo dei punti di approdo e dei percorsi viari compresi fra Paestum e la costiera cilentana fino a Ogliastro Marina.

Ad un ambito cronologico molto più recente, invece, risalgono i resti di un importante monastero dedicato all’Arcangelo Michele, che riveste un notevole interesse per le fasi medievale e moderna della storia di Perdifumo. I resti sono ubicati a sud-ovest rispetto all’abitato di Perdifumo, su un terrazzo proteso a nord-ovest ad una quota di 528 m s.l.m., protetto alle spalle dal Monte Corvo, facente parte del sistema del Monte della Stella. Il monastero doveva esistere già nel X secolo: il complesso è infatti menzionato per la prima volta in un documento della badia di Cava dei Tirreni nel 963, nel quale è localizzato nei pressi del Monte Corace. Il nome del monte, di chiara origine greca (korax, cioè “corvo”), fa pensare che forse in originasi trattasse di un monastero di rito greco, uno dei tanti fondati nel Cilento da monaci provenienti dall’Oriente. Solo in un secondo momento sarebbe stato convertito al rito latino, entrando di fatto nei possedimenti della potente badia benedettina di Cava dei Tirreni, che possedeva molti territorio nell’area del Cilento. A partire dal XIV secolo diluiscono le notizie relative al monastero cosa che fa presumere una sua progressiva perdita di importanza nel comprensorio cilentano. Con la fondazione a Perdifumo, da parte dei frati cappuccini, del convento di Santa Maria degli Angeli, avvenuta nel corso del XVII secolo, una parte degli arredi liturgici fu trasferita nella nuova chiesa conventuale. Nel 1653 tutti i beni del monastero furono ceduti alla badia di Cava, forse perché le strutture erano ormai in stato di degrado, fatta eccezione per la chiesa, che – come si apprende da un documento – rimase ancora attiva almeno fino al 1792. In quell’anno, il trasferimento della statua di San Michele e delle campane nella parrocchiale di Perdifumo segnò la fine della storia secolare del monastero dell’Arcangelo. Nel sito dell’antico monastero, immersi nella vegetazione, attualmente sono visibili ampi resti murari, attribuibili a diverse fasi della sua vita.

Evidenze storico-artistiche

Il centro di Perdifumo si sviluppa lungo un asse viario centrale, e presenta un impianto tipico dei paesi cilentani, caratterizzato dalla presenza di diverticoli, vicoli lastricati e scale. L’abitato è scandito da diversi edifici storici, fra i quali palazzi nobiliari, chiese, fontane e lavatoi. All’inizio del centro storico ci si imbatte nella chiesa parrocchiale, intitolata a San Sisto II, papa martirizzato nel III secolo. L’impianto originario della chiesa di S. Sisto risale al XVI secolo, con significativi rifacimenti settecenteschi, ben evidenti nella facciata, tipicamente neoclassica con tre portali d’ingresso, al di sopra dei quali corre un fregio. L’aspetto attuale, tuttavia, è frutto di importanti interventi di ristrutturazione effettuati negli anni ’60 del Novecento. La chiesa, che si affaccia sulla piazza centrale, presenta un impianto a tre navate e un alto campanile. Accanto all’ingresso sinistro della chiesa è una cappella della fine del XVI secolo eretta dalla Confraternita del Rosario.

Proseguendo lungo la via principale si giunge in piazza Guglielmini, dove si incontra la più monumentale delle caratteristiche fontane che caratterizzano il centro storico di Perdifumo. La fontana fu fatta costruire nel 1500 da Giacomo Guindacio, al quale fu concessa la signoria di Perdifumo dal principe di Salerno Roberto Sanseverino per meriti di guerra. La vicenda è immortalata da due iscrizioni poste sulla parete interna della fontana.

Adiacente alla fontana è Palazzo Guglielmini-Farziati, una monumentale residenza storica caratterizzata da un fastoso portale in pietra e da un alto torrino circolare, che fungeva, nella parte sommatale, da colombaia.

In una zona sopraelevata, situata a ovest rispetto all’abitato, si erge un importante complesso monastico, intitolato a Santa Maria degli Angeli. Il convento fu fondato dai frati cappuccini negli anni ’30 del Seicento, ma l’aspetto attuale è frutto di un radicale rifacimento del primo Novecento, seguito ad un periodo di abbandono. Ad una fase precedente si riferisce il portale d’ingresso in pietra, sormontato sull’architrave da una lunetta recante un piccolo affresco settecentesco detto “della Porziuncola”, da cui deriva la denominazione alternativa del complesso, quella di Santa Maria della Porziuncola. All’interno della chiesa si conserva un raffinato tabernacolo ligneo del Settecento che, sulla cui porticina d’ingresso è raffigurato l’Arcangelo Michele. Questa immagine, unitamente ad una lastra marmorea databile al secolo XI, testimonia il rapporto di continuità fra il nuovo convento francescano e l’antico monastero dell’Arcangelo, probabilmente già in rovina al momento della fondazione di Santa Maria degli Angeli. Nella chiesa si conserva inoltre un crocefisso della fine del Cinquecento, venerato dalla comunità di Perdifumo insieme alla statua della Madonna del Rosario custodita nella parrocchiale.

Mercato

La parte più antica del centro abitato di Mercato è localizzata nel settore più elevato, dove lungo i due lati della strada che conduce al convento di Santa Maria del Carmine sorgono diverse residenze storiche.

Il convento è la principale emergenza monumentale del piccolo centro, posto su un’altura protesa verso il mare, in posizione dominante rispetto al paesaggio circostante. Il nucleo originario del complesso, costituito dalla chiesa e dal cenobio, risale agli anni Settanta del Quattrocento. Venne fondato, infatti, nel 1472, per iniziativa del frate carmelitano Girolamo De’ Signo, in precedenza priore del monastero napoletano del Carmine Maggiore. L’imponente struttura presenta una pianta quadrangolare, che ingloba nel lato settentrionale la chiesa e il campanile. Al complesso si accedeva in antico da sud, attraverso una scala in pietra che conduceva ad un cortile, sul quale si apriva il portale monumentale in bugnato. Il lato meridionale, che guarda verso l’abitato, è rinforzato da tre torrioni; i due angoli occidentali sono muniti di torri, una a pianta circolare (a nord) e una a pianta quadrata (a sud). All’interno, la struttura gravita intorno ad un atrio centrale porticato a pianta quadrangolare, al cui centro è un pozzo monumentale in pietra.

La chiesa presenta un impianto a navata unica con soffitto a botte, con cappelle che si aprono su entrambi i lati. L’edificio è stato oggetto di numerosi interventi di restauro documentati a partire dal Settecento, che tuttavia non ne hanno alterato l’assetto originario. All’esterno, il campanile a pianta circolare – originariamente il torrino nord-orientale del complesso – si addossa al lato destro dell’ingresso.

L’assetto monumentale del complesso, e in particolare la presenza delle torri fortificate, ha indotto alcuni studiosi a presumere un’originaria funzione militare dell’edificio, soltanto in un secondo momento convertito in convento.

La chiesa, in occasione della festività della Madonna del Carmine è meta di pellegrinaggio da parte degli abitanti dei paesi circostanti e, in quella occasione, si svolgeva anche una importante fiera.

Vatolla

Il centro storico di Vatolla si disloca su un crinale collinare, caratterizzato dalla presenza di folti castagneti. Le abitazioni sorgono per un primo tratto sui due lati di un asse viario che si snoda lungo il declivio collinare, giungendo allo slargo dominato dall’imponente Palazzo Vargas. Il paese, con i suoi vicoli e strettoie, ha conservato aspetto architettonico e dimensioni pressoché originari, a fronte di una storia ormai più che millenaria. Il decennale soggiorno a Vatolla di Giambattista Vico, dal 1686 al 1695, permea ancor oggi il piccolo centro di una grande vivacità culturale legata alla figura del grande filosofo napoletano.

Il patrimonio storico-artistico del borgo è arricchito dalla presenza di due edifici religiosi. Posta in posizione dominante rispetto all’abitato è la chiesa parrocchiale di Santa Maria delle Grazie, il cui impianto originario risale – stando ai documenti – al secolo XI. L’aspetto attuale della facciata è il frutto di un restauro recente; ciononostante è possibile scorgere ai due lati del portale, all’altezza dell’architrave, due pannelli marmorei scolpiti appartenenti ad un sarcofago romano di età tardo-imperiale. Sul pannello di sinistra è rappresentato il dio Pan, reso di prospetto e ben identificabile per le corna e il caratteristico attributo del flauto, insieme ad un giovane nudo che regge un mantello nella mano destra; sui due lati si intravedono un tralcio di vite e le estremità di un doppio flauto. Sul pannello di destra sono raffigurati da sinistra a destra Dioniso, un fanciullo ed una figura di anziano (il cd. ‘papposileno’, personaggio tipico del corteo dionisiaco) che regge con la mano destra un mantello insieme ad una quarta figura incompleta. Sul lato sinistro della facciata si innesta il campanile, anch’esso restaurato.

La chiesa presenta un impianto a tre navate, delle quali quella centrale presenta un soffitto piano, mentre le laterali sono coperte da volte a crociera.

Procedendo verso ovest, nella parte più bassa dell’abitato, si incontra il convento di Santa Maria della Pietà. La costruzione del convento iniziò nel 1619, a seguito di una donazione da parte del barone Griso di Vatolla ai frati Minori Osservanti. Il barone aveva donato loro una cappella che recava al proprio interno un affresco raffigurante l’immagine della Madonna della Pietà, dalla quale deriva il l’intitolazione del convento. Nel convento i frati costituirono una biblioteca nella quale – stando alla sua autobiografia – Giambattista Vico si recava sovente per motivi di studio. Come accadde per tutte le istituzioni monastiche del Regno di Napoli, durante il decennio francese il convento fu soppresso, venendo riaperto soltanto dopo la Restaurazione. Seguirono quindi dei lavori di ristrutturazione dell’antica fabbrica monastica, che conferirono alla struttura l’aspetto attuale. Della fase originaria si conservano tratti dei muri di delimitazione della proprietà conventuale – visibili sul lato strada – nonché la vecchia cappella, attualmente non accessibile. Il piazzale antistante l’edificio, proteso verso il mare, era, secondo la tradizione, uno dei luoghi prediletti da Vico per le sue meditazioni; tra le piante d’ulivo lì presenti, una viene suggestivamente indicata come quella all’ombra della quale il filosofo avrebbe amato sostare. 

Palazzo Vargas

Ubicato nel cuore dell’abitato di Vatolla, in una posizione che assicurava un’ampia visibilità verso la costa, Palazzo Vargas è senza dubbio l’edificio storicamente ed architettonicamente più emblematico del piccolo centro cilentano.

Il palazzo divenne residenza signorile nel corso del Cinquecento per iniziativa della famiglia Griso; a questi interventi, quindi, si deve far risalire la sua attuale planimetria. L’edificio fu in seguito possedimento dei baroni Rocca, presso i quali il Vico esercitò la mansione di precettore. Il soggiorno di Vico è testimoniato da una lapide iscritta affissa sulla facciata del palazzo prospiciente la piazza intitolata al celebre filosofo. L’attuale denominazione dell’edificio, invece, è legata alla famiglia napoletana di origini spagnole dei Vargas Macciucca, che divennero marchesi di Vatolla nella seconda metà del Settecento.

Il palazzo è un’imponente costruzione a pianta trapezoidale dotata di quattro torri circolari presso gli angoli. La torre di nord-est, sul lato esterno, ingloba la fontana vecchia della sorgente La Pila, recentemente restaurata. Attraverso un portale monumentale in bugnato si accede al primo cortile interno, spazio di raccordo fra le altre ali del palazzo. Attualmente risulta accessibile soltanto una piccola parte degli spazi interni: l’ala orientale è infatti adibita ad uso privato residenziale, mentre il lato meridionale – il più antico, a cui si accede attraverso un portale minore posto dirimpetto a quello principale – è concesso come abitazione al custode della struttura. L’unica ala del palazzo aperta al pubblico è quella occidentale, destinata in antico alla servitù, mentre ora concessa in comodato alla Fondazione “Giambattista Vico”, che ne cura la valorizzazione attraverso attività culturali.

Questa parte del palazzo conserva diversi elementi dell’arredamento sei-settecentesco, fra cui il pavimento in cotto e una parte del mobilio. Alcune sale ospitano la biblioteca del Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano, e custodiscono un ricco patrimonio di cimeli vichiani, dipinti e carte geografiche storiche. Il salone centrale è adibito a sala convegni.

Link utili: Sito web Fondazione Giambattista Vico

Camella

La frazione di Camella sorge su un declivio localizzato a nord rispetto all’abitato di Perdifumo. Il piccolo borgo conserva oggi l’impianto insediativo del nucleo originario, caratterizzato da un fitto aggregato di abitazioni e residenze storiche affacciate su una strada lastricata, che conduce alla chiesa di San Nazario, posta al limite settentrionale dell’abitato.

L’impianto della chiesa parrocchiale, dedicata a San Nazario, risale probabilmente al XII secolo: la presenza di un luogo di culto consacrato al martire è infatti attestata a Camella già nel 1129. Profondamente restaurata nel periodo barocco, la chiesa è stata nuovamente ristrutturata nei primi anni Duemila.

La chiesa presenta una pianta a tre navate, caratterizzate da una ricca decorazione in stile baroccheggiante. L’alto campanile, impostato sulla navata sinistra della chiesa, in corrispondenza della facciata, è composto da quattro ordini; il secondo e il terzo sono scanditi sui quattro lati da altrettante colonne ioniche realizzate a rilievo in stucco. Sulla facciata esterna, interessata dai restauri recenti, a sinistra dell’arco che introduce al nartece si intravede un’iscrizione lapidea recante la data del 1700, forse indicativa di un precedente intervento di restauro.

Risalendo a monte lungo la strada lastricata si incontrano diversi edifici e residenze storiche, fra cui spicca un palazzo gentilizio appartenente alla famiglia Materazzi, caratterizzato da una facciata resa in un vivace stile eclettico di fine Ottocento.

Nei pressi dell’ingresso al paese si trova una fontana caratterizzata da una struttura architettonica del tutto simile a quella della fontana di Perdifumo situata in piazza Guglielmini. Un’epigrafe, ormai scarsamente leggibile, affissa al muro di fondo della fontana, attesta la donazione da parte del feudatario locale, Giovan Giacomo Altomare, nel 1566, finalizzata a migliorare l’approvvigionamento idrico del piccolo centro.

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